Pillole di scienza della nutrizione: approfondimento sui carboidrati

 


I carboidrati (derivato da “idrati di carbonio”), anche detti glucidi (dal greco γλυκύς, glucùs, cioè “dolce”), sono delle sostanze nutritive organiche composte da carbonio ed acqua.

La funzione principale svolta dai carboidrati nell’organismo umano è di tipo energetico; essi apportano dalle 3,74 kcal alle 4,2 kcal di energia per grammo, da cui deriva una media approssimata di 4 kcal, comunemente utilizzata, per semplicità di calcolo, nell’elaborazione delle diete.

La grande varietà di tipologie di molecole riconducibili alla categoria dei carboidrati ha fatto sì che queste sostanze venissero classificate in base alle loro strutture chimiche.

La prima grande distinzione consiste nel separare i cosiddetti carboidrati semplici da quelli complessi.

Questa classificazione viene effettuata in relazione al numero di unità base di cui i carboidrati sono costituiti che, nel primo caso si limita a non più di alcune unità, mentre nel secondo spazia nell’ordine delle decine e delle centinaia di unità.

A loro volta i carboidrati semplici, comunemente detti zuccheri, sono suddivisi in: monosaccaridi (che tra tutti hanno la struttura più semplice e costituiscono le unità base), disaccaridi (che sono costituiti dall’unione di due monosaccaridi) e oligosaccaridi (formati da non più di una decina di unità base); quelli complessi, invece, sono detti polisaccaridi, in quanto la loro struttura è composta da un numero maggiore di 10 unità base.

In natura esiste una gran varietà di monosaccaridi; di essi i più noti, ed i più importanti per gli esseri umani, sono il glucosio (che costituisce la forma in cui devono essere scomposti i carboidrati per poter essere utilizzati dall’organismo), il fruttosio (lo zucchero della frutta) ed il galattosio (che unito al glucosio forma il lattosio, ovvero lo zucchero del latte).

Tra i disaccaridi più noti riportiamo il saccarosio, vale a dire il classico zucchero da tavola (formato dalla coppia glucosio + fruttosio) ed il già citato lattosio (formato dalla coppia glucosio+ galattosio).

Le maltodestrine, solitamente assunte dagli atleti di fondo sotto forma di integratore con finalità energetica, rappresentano il classico esempio di oligosaccaridi, in quanto sono costituite da non più di una decina di monosaccaridi. 

I polisaccaridi, facenti parte del gruppo dei carboidrati complessi, sono a loro volta suddivisi in due categorie determinate dall’origine del carboidrato, che può essere vegetale o animale.

Tra i polisaccaridi vegetali spiccano gli amidi e le fibre; tra quelli animali il glicogeno. 

Più precisamente, gli amidi sono dei carboidrati complessi naturalmente presenti negli alimenti vegetali (come, ad esempio, i cereali, i legumi e le patate) e rappresentano un’ottima fonte di energia a lento assorbimento.

Le fibre, invece, pur essendo anch’esse dei carboidrati complessi, principalmente contenute negli alimenti vegetali (come, ad esempio, la frutta, gli ortaggi ed i cereali integrali), non vengono utilizzate dal corpo umano per finalità energetiche, per il semplice fatto che l’organismo non è in grado di digerirle. 

Ciò nonostante la loro presenza nella dieta umana, entro certi quantitativi, è di fondamentale importanza sia per regolare l’assorbimento ed il transito dei nutrienti a livello intestinale, che per proteggere l’organismo da una serie di patologie (ci occuperemo in dettaglio delle fibre più avanti nel corso della trattazione). 

Di tutt’altra tipologia è la funzione del glicogeno: si tratta, infatti, di una macromolecola costruita dall’organismo andando a formare una “catena” di molecole di glucosio, che viene depositata, sia nel fegato che nel tessuto muscolare, in qualità di riserva glucidica.

Fortunatamente, da un punto di vista pratico, finalizzato alla stesura di una dieta, si è soliti effettuare una (gradita) semplificazione, limitandosi a parlare genericamente di “zuccheri”, riferendosi con un solo termine all’insieme dei carboidrati semplici; di amidi, ovvero di carboidrati complessi; e di fibre, ovvero di quei carboidrati che l’organismo non è in grado di assimilare.

Il processo di digestione dei carboidrati inizia nella bocca, grazie agli enzimi presenti nella saliva, e si conclude nell’intestino. 

A causa della diversa complessità delle rispettive struttura, i carboidrati semplici risultano più facili e rapidi da digerire ed assorbire, mentre quelli complessi richiedono un processo più lungo che si protrae maggiormente nel tempo. 

Dopo essere stati scomposti in monosaccaridi, i carboidrati giungono nel flusso sanguigno; il livello di zucchero presente nel sangue è detto glicemia ed è accuratamente regolato dall’organismo attraverso una serie di meccanismi, affinché il quantitativo di glucosio circolante non sia né troppo basso (condizione di ipoglicemia) né troppo elevato (condizione di iperglicemia).

La differente capacità d’incrementare la glicemia associata alle diverse tipologie di carboidrati contenuti negli alimenti è sinteticamente espressa con il cosiddetto indice glicemico.

Posto uguale a 100 l’indice glicemico del glucosio, si dirà che un alimento ha indice glicemico pari a X se esso innalza la glicemia con una velocità pari all’X% rispetto a quella del glucosio. 

Ad esempio, l’indice glicemico del saccarosio è all’incirca 70 mentre quello del fruttosio è prossimo a 20; i cereali e le farine raffinate hanno sempre un indice glicemico maggiore rispetto ai corrispettivi integrali; si consideri, inoltre, che l’indice glicemico può cambiare sensibilmente anche a seconda della varietà del medesimo alimento. 

Moltiplicando l’indice glicemico per la quantità di carboidrati contenuti in un alimento si ottiene il carico glicemico, un ulteriore parametro, di grande importanza per valutare l’impatto glicemico che un cibo ha sull’organismo, calcolato tenendo in considerazione, non solo il suo indice glicemico, ma anche la quantità di carboidrati ingeriti con esso.

Va da sé che, in certi casi, l’assunzione di una piccola quantità di cibo altamente glicemico, comporterà un carico glicemico più basso rispetto all’assunzione di una grande quantità di un alimento con un indice glicemico basso.

A parità di carico glicemico, ciò che cambia è il modo con cui lo zucchero viene rilasciato nel sangue, che risulterà più veloce e con picchi più elevati, utilizzando cibi con indice glicemico elevato, lento, graduale e senza picchi, ingerendo cibi caratterizzati da un basso indice glicemico.

Siccome il glucosio rappresenta un nutriente fondamentale per le cellule e gli organi, tra cui, in particolare, il cervello ed il fegato non riuscirebbero a funzionare in assenza di questa sostanza, l’organismo cercherà in ogni modo di mantenere la glicemia entro un intervallo fisiologico, relativamente “costante” nel tempo, evitando sia gli eccessi che i difetti, che risulterebbero entrambi dannosi, anche se per ragioni differenti (l’ipoglicemia comporta, a seconda della sua gravità, vertigini, tremori, palpitazioni, svenimento, coma ipoglicemico ed infine morte; l’iperglicemia è la condizione cronica che caratterizza i malati di diabete, se tale stato si protrae eccessivamente nel tempo può dare luogo a malattie cardiovascolari, danni alla retina, ai reni e al sistema nervoso, ulcerazioni nelle zone periferiche degli arti inferiori, infezioni... e così via).

In particolare, l’innalzamento della glicemia dovuto all’introduzione nel corpo di un pasto ricco di carboidrati induce il pancreas a produrre una maggiore quantità di insulina: un potente ormone anabolico ipoglicemizzante che, tra le altre cose, ha il potere di “spingere” il glucosio nelle cellule per essere utilizzato con finalità energetiche.

Se lo zucchero presente nel sangue eccede le reali esigenze energetiche dell’organismo, quest’ultimo, per prima cosa, provvede a stoccare i carboidrati in eccesso nel fegato e nei muscoli, e poi, qualora queste riserve fossero sature o si saturassero, trasformerebbe ed accumulerebbe la  restante quota di zuccheri in circolazione sotto forma di depositi di grasso. 

Quando invece il livello di zuccheri nel sangue scende sotto un certo limite, ad esempio a causa di un uno sforzo fisico, o un digiuno, protratto nel tempo, i precedenti meccanismi vengono, in un certo senso, “invertiti”, al fine di innalzare la glicemia ed assicurare il giusto nutrimento alle cellule ed agli organi. 

Il corpo umano, infatti, è in grado di liberare glucosio nel sangue, sia andando ad attingere dai depositi di glicogeno precedentemente stoccati nel fegato e nel tessuto muscolare sia, nei casi più estremi, trasformando le proteine muscolari ed i depositi di grasso. 

Quest’ultima strategia, però, porta con sé la formazione di corpi chetonici che, nei casi di digiuno prolungato o diete caratterizzate da una marcata carenza di carboidrati (come ad esempio le cosiddette diete chetogeniche), pur non essendo degli zuccheri, vengono comunque utilizzati dall’organismo, in particolar modo dal cervello, in loro sostituzione con finalità energetiche, rappresentando, in tali condizione, una sorta di extrema ratio per garantire la sopravvivenza: si instaura così uno stato metabolico detto chetosi, caratterizzato da una elevata presenza di corpi chetonici sia nel sangue che nelle urine.

Per questo motivo alcuni si spingono fino al punto da sostenere che i carboidrati non siano un nutriente essenziale (in senso stretto), giacché, se si verificasse una loro carenza, il corpo sarebbe in grado di sintetizzare il glucosio di cui avrebbe bisogno a partire da altre sostanze (a condizione che queste ultime siano presenti, ovviamente!) attraverso i processi di gluconeogenesi sopra descritti. 

Tuttavia, per impostare una dieta che risulti al tempo stesso sana e funzionale al culturismo, evitando di sottoporre il proprio organismo ad inutili, controproducenti e potenzialmente dannosi, meccanismi di compensazione, si consiglia caldamente di assumere, ogni giorno, una quantità di carboidrati che può oscillare, a seconda delle caratteristiche e delle esigenze personali, tra il 45% ed il 60% del fabbisogno energetico totale giornaliero. 

Siccome abbiamo detto che ogni grammo di carboidrati apporta all’incirca 4 kcal, ciò significa che un atleta con un fabbisogno di 2500 kcal, se vorrà alimentarsi in modo adeguato, dovrà mantenere l’assunzione di carboidrati entro l’intervallo che va dai (2500 x 0,45)/4 = 281,25 grammi ai (2500 x 0,60)/4 = 375 grammi al dì, tra zuccheri e amidi. 

Al contrario di quanto accade per la quota proteica, rispetto alla quale si hanno indicazioni precise in relazione alle quantità “corrette” da introdurre con l’alimentazione, il quantitativo di carboidrati “ottimale” da assumere, entro i limiti appena esposti, è soggetto ad un certo grado di discrezionalità e, in ultima analisi, deve essere individuato, per tentativi, da ogni individuo, effettuando delle prove e regolandosi in base alle proprie sensazioni. 

Anche in questo caso, però, si possono fornire delle indicazioni di massima per cercare di capire se, fermo restando il raggiungimento della quota proteica ottimale, sia il caso di sbilanciare maggiormente la propria dieta sui carboidrati o sui grassi. Ad esempio, è noto che: 

1) in soggetti normopeso, a parità di peso corporeo e di attività fisica svolta, gli uomini hanno bisogno di una maggiore quota di carboidrati rispetto alle donne; 

2) a maggiore quantità di attività fisica corrisponde un incremento dell’esigenza di carboidrati, la cui introduzione finirà per sbilanciare la dieta in favore di questa tipologia di nutrienti;

3) alcune persone, a causa delle loro caratteristiche, metabolizzano i carboidrati in modo molto più efficiente rispetto ai grassi; in tal caso ha perfettamente senso assecondare le inclinazioni naturali dell’individuo, spostando la quota di questi nutrienti verso l’estremo superiore. 

Di tutto il quantitativo giornaliero di carboidrati introdotti soltanto una quota inferiore, o al più, uguale al 10% deve derivare da zuccheri, vale a dire da carboidrati semplici, mentre la restante parte, pari, o superiore, al 90%, deve provenire da amidi, vale a dire da carboidrati complessi.

Per raggiungere questo obiettivo è importante, oltre ad essere estremamente salutare, contenere al massimo o, ancora meglio, evitare totalmente, l’assunzione di alimenti e bevande con zuccheri aggiunti.

Si consideri che l’adozione di dieta sbilanciata caratterizzata da un’eccessiva quota di carboidrati semplici, in particolar modo se ad alto indice glicemico, è da considerarsi una delle cause principali dell’insorgenza del diabete. 

In generale, si consiglia di limitare l’assunzione dei carboidrati ad alto indice glicemico, in particolar modo se si tratta di zuccheri, soltanto a due momenti della giornata, vale a dire al mattino, ovvero nel primo pasto che si effettua dopo il riposo notturno, e al termine dell’allenamento.

In questo modo le scorte di glicogeno consumate durante il sonno e nel corso dell’allenamento saranno ripristinate velocemente, conferendo pienezza alla muscolatura, senza correre il rischio che il corpo trasformi i carboidrati introdotti in grasso. 

In tutti gli altri momenti della giornata, invece, si consiglia di assumere sempre fonti di carboidrati complessi, ancor meglio se a basso indice glicemico, preferendo, ad esempio, gli alimenti integrali ai loro corrispettivi raffinati. 

In questo modo si riuscirà a fornire all’organismo il giusto quantitativo di glucosio, mantenendo i livelli di questa sostanza costanti nel tempo, evitando i tipici attacchi di fame, ed i potenziali danni alla salute a medio e lungo termine, causati da un modo di alimentarsi caratterizzato dalla frequente ed immotivata induzione di inutili e controproducenti picchi glicemici. 

Un ulteriore accorgimento che si può mettere in atto, consiste nel concentrare la maggior parte dell’assunzione di carboidrati (complessi) nelle 3 ore precedenti l’allenamento e nelle 3 ore successive; ad esempio, se ci si allena di pomeriggio, si andranno ad effettuare un pranzo ed una cena ricchi di carboidrati complessi.

Che questi nutrienti, ancor meglio se a basso indice glicemico, nella giusta quantità, non debbano essere presenti nei pasti pomeridiani e serali, perché in questi momenti della giornata verrebbero utilizzati maggiormente per incrementare le riserve di grasso, è un altro luogo comune.

Si consideri che i carboidrati complessi, in particolar modo se provengono da alimenti integrali, favoriscono il senso di sazietà ed il riposo notturno, evitando che si verifichino degli spiacevoli episodi di insonnia, tipicamente associati alle diete caratterizzate da un basso tenore di carboidrati.

Mirco Mariucci

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Disclaimer

L’allenamento con i sovraccarichi può essere estremamente dannoso per il vostro corpo. Un’alimentazione scorretta può compromettere irrimediabilmente la vostra salute. L’utilizzo inappropriato degli integratori può causare delle patologie molto gravi al vostro organismo.

Prima di mettere in pratica qualsiasi metodologia di allenamento, alimentazione ed integrazione, consultate sempre il vostro medico di fiducia, fatevi seguire in presenza da un personal trainer esperto ed affidatevi ad un nutrizionista qualificato.

Per questi motivi, l’Autore declina ogni genere di responsabilità legata all’utilizzo delle informazioni contenute all’interno di questo blog. 

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